“Il prezzo del progresso della civiltà si paga
con la riduzione della felicità,
dovuta all’intensificarsi del senso di colpa”.
Sigmund Freud
“Mi sento in colpa” è una delle affermazioni che più sento dire non solo dai miei clienti ma dalla gente tutta.
“Mi sento in colpa”. Se analizziamo la frase notiamo già un errore logico: la colpa non la si sente, la si pensa. Quello che sentiamo è paura. Paura di cosa?
Paura di perdere amore.
Riflettiamoci: litighiamo con un’amica, per dispetto non gli prestiamo un libro che potrebbe esserle utile per passare un esame. Lei viene bocciata e noi ci sentiamo terribilmente in colpa.
Cosa succede?
Sapere consapevolmente di aver procurato un danno ad una persona amata (o meno) porta alla conseguenza culturale/sociale della punizione. Se fai del male devi essere punito. Se fai male perdi qualcosa, sempre. E quello che si perde è un valore, e la madre di tutti i valori è l’amore, in tutte le sue forme.
Quando pensiamo di stare nella colpa abbiamo fatto qualcosa che ci allontana dal gruppo, dal branco. Abbiamo quindi paura di essere allontanati ancora di più, di non essere più amati.
Quale è il rimedio a questa paura? Come mai soprattutto in occidente il senso di colpa diventa un demone che non ci fa dormire la notte?
Sicuramente la religione (la parte politica ed economica di questa), cattolica in particolare e anche musulmana, ha un sua responsabilità ad aver alimentato questo demone.
Se pensiamo al buddismo infatti una parola riporta il respiro all’apnea procurata da questa paura, la tolleranza.
Se diventiamo più tolleranti (accettando di essere buoni e cattivi) con noi stessi e con gli altri non vivremmo nella prigione della colpa e della paura dell’estinzione del peccato (che ha sempre un sapore drammatico). E sarebbe più semplice chiedere scusa e rimediare alla perdita dell’amore con un’azione, un gesto, volta al recupero di quanto perso, con gratitudine.
Già tutto assume un sapore diverso. Già la notte sarebbe più bella, buona e rigenerante se i nostri demoni pensassero a cogliere fiori piuttosto che a stringere sbarre.
Il senso di colpa se non lo chiamiamo con suo vero nome, ossia la paura di non essere più amati, rischia di farci rimanere nel labirinto di Cnosso. Prendiamo per mano il Minotauro (la paura) e usciamo.
Dott.ssa Elisa Pioppi
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
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